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Crisi d’impresa: l’istinto e la consulenza sono chiavi del successo imprenditoriale

Ieri sera, al termine di un colloquio, il mio l’imprenditore cliente mi ha chiesto come comportarsi durante una crisi d’impresa con queste parole: “secondo Lei non c’è proprio più nulla da fare per la mia impresa?”.   

La domanda ha squarciato la stanza. Ha lasciato una voragine in cui hanno trovato spazio solo alcuni, ma interminabili, attimi di assordante silenzio. Per me, non era la prima volta che udivo una richiesta simile, ma conosco esattamente cosa prova un uomo o una donna d’impresa dinanzi all’idea che, la propria creatura, possa andare in frantumi da un momento all’altro, mattone dopo mattone.
Ed è così che, guardandolo negli occhi, ho ripetuto le parole che in questi ultimi 8 anni ho dovuto dire a tanti, troppi imprenditori: “vede, gentile cliente, non si tratta di ciò che penso io, ma oggettivamente la sua organizzazione ha tre problematiche ben distinte che insieme generano una grave e impegnativa crisi d’impresa”.

Quali sono, quindi, i 3 fattori che innescano la crisi d’impresa?

Campanello d’allarme numero uno. Marginalità molto bassa
 
Innovazione di prodotto e di processo nulla. Il principale svantaggio di un basso margine di profitto è la scarsa efficienza operativa che ne deriva.
 
Numero due. Commercializzazione e posizionamento del prodotto quasi inesistenti.
 
La concorrenza, e, peggio che mai, il cliente, vi trovano obsoleti.
Via verso la crisi numero tre. Problemi di bancabilità
Oramai senza più nessuna possibile via di fuga e con le spalle contro il muro, l’imprenditore si trova oggettivamente sprovvisto di margine di manovra.
Una volta elencategli le tre ragioni che hanno condotto l’azienda verso una forte battuta d’arresto l’uomo mi guarda, accigliato.
Mi chiede: “ma cosa avrei dovuto fare che non ho fatto? Ho apportato nuova finanza, ho cambiato l’approccio al marketing, ho cercato di innovare la produzione. Ho fatto di tutto senza l’aiuto di nessuno!!”.
E, lapidario, ho risposto: “avrebbe dovuto chiedere aiuto e muoversi prima, forse avremmo avuto qualche chance in più di salvare o modificare lo status quo. Oramai è tardi e la sua organizzazione è pane per creditori, banche e stato”.
Questo non accade quando l’imprenditore dà ascolto al suo istinto. Sì, ma anche al suo consulente. Essere un consulente talvolta può farci apparire insensibili dinanzi alle crisi di impresa, tuttavia per noi è una missione vera e propria. Non spetta a noi illudere il cliente imprenditore. La nostra funzione è condurre analisi oggettive e intervenire su quelle aree aziendali che riteniamo deboli e compromesse.

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